“Il mio unico, il mio più alto scopo è crollato e non ne ho più alcuno”: lapidariamente il poeta e drammaturgo tedesco Bernd Heinrich von Kleist preannunciava così a sua sorella Ulrike e alla sua fidanzata dell’epoca Wilhelmine la resa definitiva. La lettura delle opere di Kant lo aveva sconvolto, costringendolo a sperimentare sulla propria pelle l’impossibilità per l’essere umano di “… decidere se ciò che chiamiamo verità sia veramente verità o soltanto così ci appaia”. Più di 200 anni dopo il suo suicidio l’attrice teatrale Kristine Walther, mette in scena nello spettacolo “Kleist – Wenn ich dich nur hätte…“, presentato presso l’Istituto di Cultura Italo-Tedesco/Goethe-Zentrum di Verona il 25 ottobre scorso, il cortocircuito mentale dell’artista, lacerato dalle mille fratture tipiche del suo periodo, il Romanticismo, e annientato dalla ricerca vana del senso ontologico della propria esistenza. La performer materializza davanti agli spettatori il mondo lirico di Kleist a partire da un piccolo cavallo di legno, allusione all’essere animale a cui è dedicata l’opera che dà il titolo alla rappresentazione teatrale. Ogni parte del corpo partecipa alla lotta per essere nello spazio-tempo così come la parola tenta di strappare un senso che rimane indecifrato e indecifrabile al di là del segno. L’ordine precostituito viene continuamente forzato e ribaltato con conseguenze devastanti su un individuo come Kleist, emarginato, poco adattabile in una società che già all’epoca richiedeva compromessi pesantissimi con i propri fondamenti etici. L’artista di oggi rappresenta con forza fisica magnetica la lotta per prendere, catturare qualcosa che proprio come l’aria è lì ma sfugge inesorabilmente. Il titolo dello spettacolo, lo stesso della lirica, lascia volutamente aperto l’interrogativo: cosa succederebbe se “solo io ti avessi…?”. L’essere umano che nella poesia si rivolge ad un cavallo che non vuole lasciarsi cavalcare è costretto a cercare un altro modo per entrare in contatto con la natura. I versi rischiano di mettere in moto un turbinio di riflessioni, di minare persino quelle che oggi sembrano certezze acquisite. L’illusione dell’individuo contemporaneo di non avere limiti non rende meno pressante il dubbio o meglio la consapevolezza. E l’attrice con il suo equilibrio fisico mantenuto con potenza ma pur sempre instabile sembra voler ricordare in ogni istante quel peccato originale, il desiderio di conoscenza insostenibile eppure inarrestabile. La biografia di von Kleist ne è una perfetta manifestazione: dopo qualche anno di carriera militare nella scia della tradizione familiare, entra nel mondo alienante della burocrazia ministeriale. Si tratta però solo di sviste esistenziali: non può sottrarsi all’impellente richiesta interiore dell’arte. Le sue opere danno voce al tentativo di (ri)trovare l’unità perduta ma allo stesso tempo rimangono un grido forse inascoltato dello schiavo, del subalterno, di chi ci appare assuefatto alla prevaricazione perché così è nell’ordine delle cose ma inaspettatamente dice di no, si ribella e ne paga le conseguenze nell’atto di affermazione del sé. La lirica che presta il titolo allo spettacolo, ritenuta una favola senza morale, attraverso un cavallo che a suo modo dice no, incurante dei desideri dell’uomo, invita a cercare un’altra via per avvicinarsi alla natura e all’altro da sé più in generale, immaginando e agendo un nuovo ordine etico.
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14 Novembre 2024