A due anni dalla pubblicazione “La stanza numero 30. Cronache di una vita” mantiene intatto il sapore di vita vera vissuta, sofferta, ma scelta in ogni momento da parte dell’autrice, l’ex pm di Milano Ilda Boccassini.. Con coraggio, dedizione e schiena dritta, principi che l’hanno sorretta e fatta conoscere negli anni della sua attività, ha amabilmente conversato oggi con Antonella Magaraggia, attuale Presidente del Tribunale di Verona e Ottavia Piccolo, amica di lunga data e per l’occasione voce recitante di alcuni estratti dell’opera nell’incontro tenutosi presso il Palazzo Erbisti di Verona.
Vengono scandite davanti ad un pubblico attentissimo ed eterogeneo le tappe di una carriera che ha attraversato i momenti più bui ed esaltanti della Repubblica e segnato cambiamenti epocali nella presenza e considerazione delle donne nel mondo della magistratura. Davanti agli occhi degli spettatori si materializza la preoccupazione e il malcontento malcelato del capo della Procura di Milano all’arrivo nel 1979 della Boccassini con altre 6 donne vincitrici di concorso. Con orgoglio la ex pm rivendica anche a nome delle colleghe la scelta di accettare una sede scomoda e pericolosa come Milano negli anni del terrorismo a differenza di tanti colleghi, maschi. Lì, in quella stanza numero 30, che dà il titolo all’opera, rifugio e scrigno di ricordi e atti giudiziari, stanza che il semplice sostituto manterrà controcorrente e con caparbia anche dopo la promozione a procuratore aggiunto. La stanza colma di carte che evocano ricordi, successi, fatiche, procedimenti disciplinari subiti e superati, lontani nel tempo ma presenti nella cifra biografica dell’autrice. La volontà di esercitare in ogni momento la propria libertà di scelta anche a costi elevatissimi dal punto di vista dei rapporti con i colleghi e degli affetti privati. Ponderare conseguenze e rischi, vivere a pieno la lacerazione interiore di fronte al muro eretto dai propri cari di cui non viene mai negato o messo in dubbio l’affetto e non voler rinunciare a quel diktat interiore “io voglio”. E tra l’irrinunciabile come non annoverare anche le collane, oggetti scelti non solo per esigenze estetiche ma come completamento del proprio essere, per comunicare la libertà di essere, la scelta di essere. Atteso il dono condiviso dell’incontro con Giovanni Falcone, dapprima visto da colei che ne diventerà importante collaboratrice e amica come “un papa che elargiva benedizioni” e poi ammirato, sofferto quasi rimpianto già il 13 maggio 1992, a 10 giorni dalla strage di via Capaci. Ancora una volta il diritto di scegliere quando accetta di trasferirsi per due anni alla Procura di Caltanissetta per svolgere l’inchiesta sui responsabili dell’omicidio del magistrato. Rinunciare alla propria dimora, lasciare i due figli per cominciare una nuova avventura in un posto dove “non c’era nulla” e la pm ricorda come avrebbe potuto anche “andare a lavorare in pigiama”. Ancora una volta l’accoglienza non entusiasta da parte di colleghi che “sbagliano” anche quando vogliono solo proteggerla. Il riferimento questa volta è l’interrogatorio ad un indagato a seguito della perquisizione di un casolare. Inaccettabile per un mafioso di vecchio stampo essere interrogato da una donna. Ma Ilda la rossa (finta, spiega al pubblico) è perentoria: “Le donne non devono essere protette ma rispettate. Ed io ero un magistrato”.