Un fotografo italiano di avanguardia tra i più grandi del nostro tempo, nato nel 1934 a Napoli nel rione Sanità, un quartiere ricco di storia e personalità, dove ha vissuto l’infanzia e la giovinezza e dove risiede tuttora. Non ha potuto studiare perché ha iniziato a lavorare a dici anni ma in età adulta ha frequentato i corsi serali all’Accademia di Belle Arti, dove nel 1970 il direttore Franco Mancini gli attribuì l’incarico, per chiari meriti, di docente per un corso sperimentale di fotografia. Parteciparono oltre cinquecento studenti e dal 1975 diventò un corso annuale di fotografia in tutte le Accademie di Belle Arti in Italia. Ha insegnato con grande passione per circa venticinque anni sempre nella sua amata Napoli. E’stato protagonista del dibattito culturale che ha portato alla crescita, all’affermazione e riconoscimento della fotografia italiana come Arte sia in campo nazionale che internazionale. Non sono mancati i momenti bui superati grazie al profondo legame con la moglie Angela che definisce “la compagna di tutte le esperienze”. Jodice iniziò a muovere i primi passi nella fotografia con le inchieste sul lavoro minorile, nelle fabbriche, nelle carceri e negli ospedali psichiatrici. In quegli anni viveva a contatto con importanti artisti come Warhol, De Dominicis, Paolini, Kounellis, Nitsch e molti altri che influenzarono le sue idee, per dedicarsi sempre più alla fotografia creativa con lavori di ricerca concettuale. La sua tecnica è diventata il frutto di una sua progettualità fatta di contemplazioni, vedere e immaginare sono le azioni predilette di Mimmo Jodice. Si avvicina con calma ai suoi soggetti animati dalla luce, li osserva senza scattare, li sente risuonare in sé, medita su di essi e sull’atmosfera che li circonda. Quando la luce è perfetta e e si sente vicino a quello che vede, arriva il momento giusto e lo scatto che riporterà sulla stampa. Nel suo sentirsi libero e autonomo rifiuta le regole della realizzazione della fotografia digitale e del consumo rapido delle immagini, utilizzando tempi lunghi della meditazione profonda rispetto a quello che ha davanti. I suoi progetti fotografici inizialmente avevano lo scopo di documentare e raccontare le maggiori trasformazioni sociali, culturali e del costume del nostro Paese per poi passare ad opere artistiche di un “tempo sospeso”, con visioni fuori dalla realtà. Le foto sono una diretta estensione della sua anima frutto delle sue sensazioni e dei suoi pensieri. La cifra artistica di questo grande autore si completa in camera oscura attraverso le sue mani fino a trovare la giusta luce e la giusta ombra per l’immagine perfetta attraverso il suo processo creativo. Numerose sono state le mostre personali e collettive, già nel 1967 a Napoli, arriva la sua prima personale alla libreria La Mandragola.
Il Museo Madre nel 2016 ha ospitato una grande retrospettiva a lui dedicata dal titolo Attesa/Waiting a cura di Andrea Viliani con un percorso espositivo di circa duecento opere suddivise in diverse sezioni. Nel 2018 presenta il volume monografico nato dalla mostra antologica: è un riferimento importante di tutto il lavoro svolto nella sua carriera, che resta nel tempo, perché ripercorre la storia stessa della fotografia. Molto amato anche all’estero, in particolare in Francia, dove è stato accolto sin da subito con tanto affetto e dove ha esposto numerosi progetti, come le mostre alla MEP – Maison Européenne de la Photographie di Parigi, dedicando alla città il volume Paris: City of Light (1998). Nel 2002, con Silenzio, ha esposto la sua ricerca sul mare al Musée de la Mer a Cannes e poi ad Arles per Les Rencontres Internationales de la Photographie e poi al Musée Réattu.
Nel 2011 a Parigi, al Louvre ha realizzato la mostra Les yeux du Louvre e sempre nello stesso anno riceve dal Ministero della Cultura Francese il titolo di “Chevalier de l’Ordre des Arts et des Lettres”. Nel 2013 riceve dall’Università Svizzera Italiana la Laurea Honoris Causa in Architettura. Il titolo della sua ultima antologica realizzata a Firenze a Villa Bardini “Senza Tempo” ha come fil rouge il concetto del tempo espresso nella sua lunga carriera e con i suoi grandi successi. Le 80 opere esposte, realizzate tra il 1964 e il 2011, ripercorrono i più importanti temi del lavoro artistico di Mimmo Jodice, suddivisi nelle sezioni Anamnesi, Linguaggi, Vedute di Napoli, Città, Natura e Mari. Nella mostra riesce a sorprenderci e a commuoverci con la rappresentazione degli spazi urbani con le architetture di numerose città tra le quali: Boston, Parigi, Roma, Tokyo, rivisitate in una dimensione di assenza, lontani dal caos e dalla follia. Trasfigurate in una dimensione irreale sono anche le foto che rappresentano la Natura: alberi, giardini, segno di una naturalità spontanea dove si percepisce il silenzio di cui si nutrono. Si muove come un rabdomante e si ritrova sulle sponde di quel Mediterraneo (1995) divenuto la scena di continue tragedie e drammi umani. Ha osservato il mare con lo stesso sguardo che probabilmente avevano gli uomini migliaia di anni fa. Uno sguardo eterno dove lui ha rintracciato la dimensione dell’Assoluto.
Il percorso espositivo continua attraverso le Vedute di Napoli (1980), dove si ritrova una realtà spogliata dalla presenza umana, invasa da una dimensione fuori dal tempo, rappresentandola ripulita, silenziosa e astratta. Questo è stato uno dei primi lavori, un punto di partenza, dove di solito i fotografi evidenziano l’aspetto popolare e dove lui invece si è trovato a vivere una realtà metafisica, ispirato alla grande pittura astratta dei pittori del Novecento. Come non ricordare le sperimentazioni degli anni Sessanta in cui la materia fotografica viene analizzata,rielaborata addirittura lacerata, con gli strappi, le sovrapposizioni e i collage. Apportava questi interventi sulle stampe come esternazione del suo disagio e disappunto nei confronti di una società sempre più sofferente e per la quale ha sempre combattuto. La serie di Anamnesi realizzata per la stazione “Museo” della metropolitana di Napoli è una sequenza di volti di statue e mosaici antichi, occhi spalancati che hanno “visto” vicende lontane, rianimati dalla luce che incrociano lo sguardo dei visitatori in un intreccio infinito tra passato e presente. Con L’omaggio a Michelangelo per la prima volta a Firenze gli scatti dedicati a questo grandissimo artista: un racconto di luce che accarezza la superficie del marmo, che il fotografo realizza alla fine degli anni ’80 per il volume di “Michelangelo scultore” a cura di Eugenio Battisti. Le fotografie furono esposte nel 1990 a Napoli, a Palazzo Serra di Cassano. Sono dieci i lavori vintage accumunati dalla lunga ricerca di Jodice sulla scultura ed in particolare sui volti che in modo straordinario estrae dal contesto e fissa in una dimensione unica. Un saggio visivo contemporaneo attraverso una personale lettura critica sullo sguardo accigliato del Bruto, la compostezza della Madonna del Tondo Pitti, i volti delle Tombe Medicee, ma anche i particolari dei corpi dei Prigioni, della Pietà di Palestrina e della Pietà Bandin. Jodice ancora una volta mostra la potenza rivelatrice della sua fotografia lanciando un messaggio conclusivo al visitatore: «mi piacerebbe recuperare dalla memoria tutte le foto che ho fatto con gli occhi
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