Sul finire della Prima guerra mondiale. Due ufficiali medici, amici d’infanzia lavorano nello stesso ospedale militare, dove ogni giorno arrivano dal fronte i feriti più gravi. Molti di loro però si sono procurati da soli le ferite, sono dei simulatori, che farebbero di tutto per non tornare a combattere. Stefano, di famiglia altoborghese, con un padre che sogna per lui un avvenire in politica, è ossessionato da questi autolesionisti e, oltre che il medico, fa a suo modo lo sbirro. Giulio, apparentemente più comprensivo e tollerante, non si trova a proprio agio alla vista del sangue, è più portato verso la ricerca, avrebbe voluto diventare un biologo. Anna, amica di entrambi dai tempi dell’università, sconta il fatto di essere donna. A quei tempi, senza una famiglia influente alle spalle, era difficile arrivare a una laurea in medicina. Ma lei affronta con grinta un lavoro duro e volontario alla Croce Rossa. Qualcosa di strano accade intanto tra i malati: molti si aggravano misteriosamente. Forse c’è qualcuno che provoca di proposito delle complicazioni alle loro ferite, perché i soldati vengano mandati a casa, anche storpi, anche mutilati, purché non tornino in battaglia. C’è dunque un sabotatore dentro l’ospedale, di cui Anna è la prima a sospettare. Ma sul fronte di guerra, proprio verso la fine del conflitto, si diffonde una specie di infezione che colpisce più delle armi nemiche. E presto contagia anche la popolazione civile. Questo racconta “Campo di battaglia”, il nuovo film di Gianni Amelio presentato alla Mostra del Cinema di Venezia di quest’anno, che vede come protagonisti Alessandro Borghi, Gabriel Montesi e Federica Rosellini. Liberamente ispirato al romanzo “La sfida” di Carlo Patriarca, mette a confronto due morali. Si tratta di quella di Stefano che “non festeggia i perdenti” e disprezza i “vigliacchi” intenti a togliere posti letto e assistenza ai “valorosi” lasciando “gli altri a morire per loro”, così che “a fare l’Italia rimarranno solo i furbi”; e di quella di Giulio, che voleva fare il biologo ricercatore e finisce per essere soprannominato dai pazienti “La mano santa”, perché “strappa i feriti ad una guerra ingiusta” e si rifiuta di “obbedire alle circostanze”. In mezzo Anna ascolta entrambi, ritenendo “la guerra un dovere e combattere necessario”, ma esercitando una pietas istintiva verso quei soldati poveri e giovanissimi che si esprimono solo in dialetto e si sono ritrovati in mezzo ad un conflitto che non sembra riguardarli. «Ho scelto di fare un film di guerra senza la guerra perché le immagini di guerra sono ormai usurate tanto da sembrare irreali – ha dichiarato il regista -. Dopo tutto quello che la televisione ci mostra siamo assuefatti alle immagini di morte. Il mio non è un film di guerra, ma è un film sulla guerra e la scelta di non mostrare il conflitto lo rende ancora più drammatico». Gianni Amelio torna alla regia con un film che scava in un capitolo buio della storia italiana. “Campo di battaglia” (Ph Claudio Iannone) è ambientato in Friuli Venezia Giulia durante la Prima guerra mondiale, racconta l’orrore della guerra di un secolo fa per guardare anche all’oggi.