1944. Vermiglio, un paese italiano di montagna dove vive la numerosa famiglia di un eccentrico insegnante locale, metà contadino e metà intellettuale. La guerra è allo stesso tempo lontana e onnipresente. Le tre figlie del maestro condividono il letto – una comunità all’interno di una comunità più grande – e i sogni di ragazze non più bambine, ma non ancora donne. L’arrivo di Pietro, un soldato rifugiato, porta al matrimonio della maggiore, Lucia. Tre diventano due. Private della sorella, Ada e Livia sono divise dal favoritismo del padre, che lascia Ada sola ai suoi desideri. Ma il destino più sorprendente è riservato a Lucia. Alla fine della guerra, il marito fa un viaggio nella sua Sicilia, dove un solo colpo rende vedove due donne. Lucia si rende conto di essere solo “la sposa della montagna”: il colpo fatale è stato sparato dall’altra moglie, di cui ignorava l’esistenza. Lucia intraprende quindi un viaggio fisico e metaforico per affrontare il passato del marito, aprendo il suo cuore al figlio che il loro matrimonio ha generato. Questo e molto altro è VERMIGLIO di Maura Delpero, vincitore del Leone D’Argento ed a Venezia 81. Nel cast troviamo Tommaso Ragno, Martina Scrinzi, Giuseppe De Domenico, Carlotta Gamba, Orietta Notari, Sara Serraiocco e Roberta Rovelli. Abbiamo fatto qualche domanda proprio a quest’ultima, un perfetto mix tra delicatezza e complessità, una bellezza umana e interpretativa diversa da tutte le altre.
Roberta, come ti senti dopo il successo a Venezia?
Abbiamo tutti creduto in questo progetto. La regista ci ha messo anni per soddisfare questo suo desiderio e ha curato nei dettagli ogni sfumatura. Abbiamo fatto quasi prove teatrali. Non ci aspettavamo questo successo e siamo felicissimi di questa bella luce.
Cosa ti ha portato a dire sì a questo progetto cinematografico?
Sono rimasta folgorata dalla scrittura, così potente per storia e per immagini. La regista poi mi parlava con una lingua che mi risuonava, una donna meravigliosa. E’ stato amore a prima vista.
Se dovessi spiegare il titolo del film cosa diresti?
Il vermiglio è un colore molto intenso e può avere varie connotazioni. Può essere amore ma anche sangue e dolore. Comprende moltissime sfaccettature dell’umano e il tutto in un unico colore.
Tu sei Adele. Come la descriveresti?
E’ una figura in ombra, in silenzio e pacata. La vediamo incinta per tutta la durata del film ed il suo esserlo durante tutto il film richiama la ciclicità della vita, un’esistenza che va avanti e non si ferma, nonostante possano esserci complicanze. E’ operosa ma senza riconoscimenti, fa in continuazione per sfamare i suoi piccoli. E’ mani che lavorano e un cuore diviso in parti uguali. E’ uno sguardo su sui suoi figli.
E la figlia Lucia? Qual è il loro rapporto?
Il loro è un rapporto di complicità ma non come la intendiamo in tempi moderni. Capisce la figlia in maniera profonda: entrambe conoscono lo stato di gravidanza che rende una donna più forte ma anche più fragile. E’ preoccupata per lei. C’è austerità, complessità e amore.
Il tuo essere madre ti ha aiutato?
Sì ma anche l’essere figlia. Sono due femminili importanti. Ho esplorato ulteriormente zone del rapporto madre – figlia e viceversa: il senso di sacrificio, il tenere sempre in braccio, l’allattare, l’accudire e la fatica. Non esiste più una persona sola, bensì due.
E l’incontro con Maura Delpero?
E’ stata determinata fino all’ultimo, precisa in modo maniacale e molto attenta agli attori che non ha mai lasciato soli. Ha lavorato su ognuno con dedizione. E’ una donna molto intelligente.
La parola famiglia per il tuo personaggio cosa significa?
E’ il suo tutto. E’ quel posto nel mondo.
E per te?
E’ anche il mio posto nel mondo. Io, a differenza sua, ho avuto la possibilità di scegliere.
Oltre che in “Vermiglio”, sei presente anche in un episodio di “Brennero”, un’esperienza lavorativa che ricorderai?
Certamente. E’ una serie tv molto intrigante, oltre che di grande qualità per regia, cast e storia. Il mio è un personaggio molto lontano da me.
Tu e la recitazione: com’è nato questo amore?
Non sono mai soddisfatta, penso sempre che avrei potuto fare di meglio. Tutto è iniziato a teatro a sedici anni mentre ero al liceo. Ho continuato a studiare lasciando poi il posto a quella che per me stava diventando una vera passione. Il palcoscenico è stato un gioco molto serio e un forte allenamenti ma il cinema è il mio grande amore, il suo occhio intimo mi ha sempre rapito. La macchina da presa è il posto del cuore, il mio rifugio, è casa.
Essere attrice nel 2024 cosa vuol dire?
E’ molto difficile per il tutto ciò che stiamo attraversando. E’ un costante affrontare le difficoltà per un grande amore.
La parola Emozione per te cosa significa?
E’ fondamentale, senza non avrebbe senso vivere. E’ il riuscire a percorrere colori e suoni attraversando l’umanità.
Nuovi progetti?
Uscirà su Sky una serie tv sugli 883, fiction in cui interpreto a madre di Max Pezzali.