Che bello avere l’opportunità di ascoltare dal vivo il professor Vittorino Andreoli. Un desiderio trentennale il mio che appena appagato si rianima e si ripresenta più forte di prima.
Curioso come proprio il tema del desiderio apra il primo dei cinque incontri fortemente voluti dalla Fondazione Zanotto di Verona dedicati a “I fondamenti dell’umano e del bene-essere”. Una sorta di ridefinizione da parte del pessimista attivo Andreoli, come lui stesso si definisce.
Supportato da un foglietto di appunti, necessario per contenere la sua verve ironica e il suo entusiasmo, lo psichiatra veronese ci prende a bordo nel suo viaggio. Riferendosi alla distinzione classica tra desideri dell’avere e desideri dell’essere, spazza via i primi perché non sono quelli che possono aiutare una comunità sofferente come quella contemporanea a ritrovare il senso del proprio esistere.
Si parte da una constatazione: l’essere umano dopo aver realizzato gli imperativi fondamentali già teorizzati da Darwin nel 1895 si trova a soffrire per solitudine, assenza di speranza, mancanza di prospettiva. Una caduta libera che ha le sue radici nella concezione del tempo: se tutto è schiacciato sul presente, una collettività ammaliata dal mantra del tutto subito non riesce a riappropriarsi dell’idea di futuro. Per l’individuo le conseguenze sono devastanti. Andreoli ci invita a seguirlo nel suo ragionamento per portare qualcosa di positivo, di utile “a casa” da condividere con quei gruppi sociali oggi più vulnerabili, gli adolescenti in crisi quasi per dovere e coloro che sono un po’ più avanti nell’età e che si sentono messi da parte dalla società.
La logica del tutto e subito è da considerare causa del moderno male-essere. E’ quello che ci manda in crisi davanti ad una mancata risposta che pretendiamo immediata ad un messaggio, che ci fa scendere dall’automobile per aggredire un altro individuo perché si è intimamente incapaci di andare oltre l’attimo dove bisogna affermare se stessi. Con la rabbia generata dalla convinzione di sentirsi inadeguati, di non essere capiti, accolti, visti. Di non esistere più per l’altro e con l’altro. Da qui la frustrazione. Con ironica delicatezza il medico scrittore ci disegna un’esistenza diversa, umana che trova la sua linfa vitale nel desiderio che nasce nell’interiorità. Se l’essere umano è imperfetto per sua natura, il desiderio più autentico è proprio quello di migliorarsi, di cambiare, di essere domani qualcosa di altro rispetto al sé di oggi. Questa molla ci proietta nel futuro e ci fa riconoscere e assumere un ruolo attivo nell’esistenza personale e con gli altri. Voler cambiare, non essere uguale a quello che si è oggi, richiede tempo, tolleranza e pazienza di fronte alle difficoltà e cadute. Ma implicitamente genera la speranza. Raggiungere l’obiettivo ci regala la gioia che a differenza della felicità trova il suo pieno godimento nella condivisione. Non è difficile capire come il desiderio di cui parla Andreoli non abbia nulla a che fare con i desideri spot provenienti dall’esterno attraverso campagne pubblicitarie da cui ci si lascia ammaliare proprio perché ci promettono una gratificazione immediata che altrettanto rapidamente svanisce. Lo confermano i numeri: il 14% degli italiani ha vissuto almeno un episodio clinico di depressione originata proprio dal vuoto, dalla mancanza di desiderio, di inutilità che scaturisce nel bisogno di sparire nel nulla, di farla finita. Unico antidoto il bisogno interiore di aspirare ad un altro se stesso.