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Si accalora e si commuove Vittorino Andreoli, psichiatra veronese, nel terzo incontro del ciclo I fondamenti dell’umano e del bene-essere, voluto dalla Fondazione Giorgio Zanotto a Verona. E con pazienza cerca di spiegare perché l’essere umano per non confondersi o diventare una macchina deve accogliere il dolore. L’invito perentorio “Non distruggete il dolore” è la naturale conclusione dopo quasi due ore di esempi chiarificatori. Come prima cosa Andreoli ci tiene a precisare quale dolore dobbiamo elaborare perché peculiarità dell’umano; non il dolore fisico, somatico perché per quello ci sono soluzioni come i farmaci che ci possono aiutare. E’ il dolore esistenziale, il malessere che si esprime per lo più nel silenzio, quello immortalato nell’Urlo di Munch che non si deve tenere lontano o addirittura delegare per i troppi impegni di una società votata esclusivamente al fare. Perché è quella sofferenza che definendoci inesorabilmente come imperfetti e limitati ci individua come umani in grado di cercare soluzioni. Il dolore esistenziale è fondamento della relazione con l’altro da sé perché l’essere è in grado di comprendere il male dell’altro e provandolo in sé accoglie e cura il suo simile. La mancanza di dolore o di capacità di sentire il dolore dell’altro è infatti sintomo di malattia o di patologie; basti pensare al narcisista completamente schiacciato sui propri sentimenti o il soggetto malato di Asperger, non in grado di immedesimarsi, di riconoscere emozioni e sentimenti dentro e fuori da sé, nonostante spesso si tratti di individui con alto livello di pensiero.
E vengono snocciolati episodi che sono normali eventi della vita quotidiana, proprio perché il dolore esistenziale, che trova la sua summa nella morte, appartiene a tutti. E di pari passo, a mano a mano che nella società contemporanea si registra un allontanamento o un vero e proprio tentativo di rimozione di questa condizione, anche le parole che lo accompagnano come reazione attiva umana diventano desuete. Si comincia dal termine compromesso, quel tentativo di trovare una via alternativa a metà tra due soggetti di una relazione momentaneamente in crisi per dare nuova linfa al sentimento che ha creato quel legame. Oggi al compromesso si preferisce lo scontro e la chiusura, in un mondo dove si cercano o vedono solo avversari e nemici. L’alternativa c’è nel trovare modi per rimuovere gli ostacoli proprio in virtù del bene per l’altro. Pietas è un altro termine strettamente legato al dolore, quando ci si rende conto di voler aiutare, sostenere qualcuno vicino senza esserne capaci. Si sente però, si percepisce l’altrui dolore e questo è già una forma di sollievo, il non essere soli. Come non ricordare il momento del dolore di Gesù che quando è solo nel Getsemani sente il bisogno di suo padre e lo raggiunge attraverso la preghiera. Particolare attenzione dedica Andreoli al dolore del lutto da trasformare in una nuova vita, in una vicinanza di chi non è più nell’interiorità di chi rimane, meccanismo tipico della religione degli antenati. Per questo forte valore nell’esistenza umana e individuale lo psichiatra insiste perché i bambini accompagnino i loro nonni nel momento del distacco. Cara la sofferenza dei vecchi, spostati da luoghi cari nei non luoghi che per loro non rappresentano nulla di affettivo. Teniamoci stretta la capacità di sentire e riconoscere il mal di vivere perché solo chi non ha coscienza non sente e soprattutto non è in grado di provare quel dolore squisitamente, unicamente umano.