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Bruno Palaia si consacra per la missione tra i missionari Oblati di Maria Immacolata. La celebrazione avrà luogo domenica 23 febbraio a Sant’Andrea apostolo.
Ma ha ancora un senso oggi la consacrazione religiosa? E l’impegno missionario? Può un giovane sentire questo tipo di chiamata? Domenica 23 febbraio a Sant’Andrea apostolo sulla costa jonica catanzarese, Bruno Palaia, giovane missionario Oblato di Maria Immacolata (OMI), farà la sua professione perpetua. 33 anni, nato e cresciuto a Sant’Andrea, diploma nel 2010 a Soverato, laurea magistrale in giurisprudenza a Catanzaro nel 2016, Bruno si consacra definitivamente in una famiglia religiosa missionaria.
I missionari OMI sono in Calabria da diversi decenni, attualmente con una comunità religiosa a Cosenza. Decine le missioni popolari predicate in tutta la regione, il servizio pastorale nei santuari, l’animazione missionaria, sono solo alcuni degli ambiti di impegno degli Oblati nel territorio calabrese. Ma torniamo a Bruno.
Quando e come hai conosciuto i missionari Oblati di Maria Immacolata?
Ricordo il giorno e l’ora di quell’incontro: erano le cinque del pomeriggio di domenica 13 marzo 2011. Non ero a conoscenza che nel territorio della mia parrocchia in quei giorni fosse iniziata una missione popolare, animata proprio dagli Oblati. Quel giorno mi stavo recando in un circolo dove ero solito giocare a carte con gli amici e a metà strada si è messo a piovere. Vedendomi sotto la pioggia, un missionario che stava andando nella direzione opposta alla mia, mi è venuto incontro e si è proposto di accompagnarmi sotto il suo ombrello, in qualunque posto stessi andando. Così ho saputo che c’erano in quei giorni anche degli incontri per i giovani e mi sono affacciato per ascoltare cosa si diceva. Grazie a quel gesto avevo ricominciato a frequentare la parrocchia, iniziando il servizio di catechista e partecipando agli incontri del gruppo giovanile formatasi dopo la missione.
Come è maturata nel tempo la tua vocazione missionaria?
L’esperienza della missione popolare e quella seguente di comunità, in cui avevo scoperto la preziosità di condividere la fede con gli altri, mi avevano spinto ad accompagnare gli Oblati in diverse missioni giovanili. In quegli anni, mi sono interrogato sul senso della mia vita, ma per diverso tempo mi sono sentito inidoneo per qualsiasi vocazione. La (ri)scoperta di un Dio che mi ama per ciò che sono mi ha fatto iniziare un cammino di discernimento aperto a tutte le vocazioni. Provando a vivere mettendomi al servizio della comunità, ho cominciato a desiderare interiormente di consacrare la vita in maniera speciale a Dio.
Nel periodo di formazione hai trascorso un tempo in America Latina. Cosa porti con te di quell’esperienza missionaria?
Da ottobre 2022 a giugno 2023 ho vissuto principalmente in Uruguay. Proprio vivendo le sfide della missione (difficoltà linguistiche, precarietà materiale, difficoltà di raggiungere gli altri in un contesto ultra-secolarizzato, ecc.) ho rafforzato il desiderio dell’oblazione perpetua. Ma poi, essendo stata la prima esperienza prolungata fuori dall’Italia, sono ritornato con un cuore “più largo” e disponibile ad ogni tipo di missione. Due sono state le esperienze che mi hanno segnato di più. La prima in una missione popolare fatta in Argentina, in un posto sperduto di campagna, con una quarantina di abitanti, passando una settimana senza acqua corrente, Internet o un letto comodo, in un posto senza presidi medici nelle vicinanze o negozi, razionando il cibo e con temperature elevate. Solamente condividendo per un tempo le scomodità che quella gente vive tutti i giorni, siamo stati, a detta loro, segno di un Dio vicino, per persone che si sentivano abbandonate dalle strutture statali ed ecclesiali. L’altra esperienza significativa l’ho fatta come insegnante in un collegio cattolico. Stare tra tanti giovani fragilissimi, senza sogni e punti di riferimento, mi ha toccato profondamente e spinto ad essere semplicemente segno di speranza per loro.
Negli ultimi anni hai affrontato gli studi di teologia morale all’università alfonsiana di Roma. Che tipo di contributo questi studi danno alla tua formazione di missionario?
La riflessione sui temi attuali è volta a capire come relazionarsi con le fragilità. Non a caso l’università è retta da religiosi missionari, i Redentoristi, che desiderano attuare ai giorni nostri i principi della morale promossa da sant’Alfonso Maria de’ Liguori, loro fondatore. Per me attingere a questa tradizione assume anche un valore carismatico, essendo stato il nostro fondatore, sant’Eugenio de Mazenod, un grande promotore della morale alfonsiana, che ha il punto di partenza nel riconoscerci redenti.
Una scelta nella scelta. Sei missionario per sempre come religioso cioè non diventi sacerdote. Cosa diresti a chi non comprende bene questo stato di vita?
Effettivamente mi sono accorto che ci sono molte persone che non capiscono bene la differenza tra il sacerdozio e l’essere Fratello, ma ciò diventa occasione di far comprendere loro il dono della Vita Religiosa nella Chiesa. Spesso la gente non distingue nemmeno la differenza tra sacerdoti diocesani e sacerdoti Religiosi e la presenza di “Fratelli” ricorda a tutti, anche agli stessi confratelli sacerdoti, la chiamata particolare a vivere pienamente un particolare carisma, che è sempre un dono a tutta la Chiesa. Tanti, giustamente, percepiscono il problema della carenza di sacerdoti, io, insieme ad altri, ci siamo sentiti interpellati, oggi, dalla mancanza di Fratelli consacrati. Proprio l’importanza della complementarità nella missione, la centralità della consacrazione per noi Oblati e la fraternità, vissuta all’interno della propria famiglia e che si estende anche oltre i confini ecclesiali, sono i concetti che mi aiutano di più a comunicare agli altri il significato della vocazione religiosa.
Un quotidiano locale titolava “Le persone che fanno bella la Calabria” un articolo su alcuni calabresi che hanno ricevuto il Premio Cassiodoro 2025 nel mese di gennaio. Crediamo che sotto questo titolo possa trovare posto anche Bruno. Auguri!