Il Palazzo delle Poste e la Caserma Ederle: qui nacque la resistenza scaligera secondo Giovanni Corcioni, docente ed esperto cultore di storia, che li racconta come luoghi testimoni di eventi drammatici, scontri e atti di grande eroismo nelle ore frenetiche immediatamente successive alla firma dell’armistizio dell’8 settembre 1943. Occasione per l’approfondimento l’incontro “La Resistenza Il carcere degli Scalzi” presso l’Educandato agli Angeli di Verona. Con lui il giornalista Beppe Muraro che sceglie un altro luogo simbolo, il Carcere degli Scalzi. I due relatori mostrano come gli archivi non sono fatti solo di documenti e carte: un muro, una targa, un monumento, un cippo, una via, un luogo possono diventare portatori di memorie e quindi testimoni. La reazione al racconto e alle onorificenze riconosciute agli autori di quei fatti dimostra come ancora oggi la Resistenza a Verona presenti elementi di complessità, non solo rispetto a cosa e dove sia accaduto, ma persino su chi siano stati i protagonisti, per un approccio sbagliato nei confronti delle fonti, spesso accettate come veritiere solo se in linea con le convinzioni della propria parte politica. Davanti agli occhi del pubblico scorrono foto, estratti di relazioni militari, pagine di quotidiani. Luoghi.
Si comincia con gli scontri al Palazzo delle Poste poche ore dopo l’armistizio, un diversivo per disturbare l’arrivo dei tedeschi alla Caserma Ederle.
A difesa delle Poste una quarantina di uomini, poco meno della metà civili. Le testimonianze non sono concordi sul numero di caduti ma la veridicità dei fatti è attestata anche dai ricordi della parte avversaria. Eppure la targa deposta nel cinquantenario il 9 settembre 1993 sarà anni dopo oggetto di polemiche e querele.
Altro luogo evocativo: la Caserma Ederle, dove avviene la prima rivolta militare contro l’oppressione nazifascista ad opera del colonnello Spiazzi, disgustato dal comportamento disdicevole messo in atto dai tedeschi, che chiesta e ottenuta una tregua la infrangono, pretendendo il disarmo degli ufficiali italiani. Nella sua relazione, Spiazzi stesso ne fa derivare la decisione di ritirarsi in montagna come consiglia di fare ai suoi ufficiali. Si unirà poi ai partigiani.
E così, di 3.550 uomini, nessuno fu fatto prigioniero. C’è ancora oggi chi a dispetto delle fonti tenta di sminuire il peso delle forze armate italiane contro i soldati tedeschi. Cosa rappresentò la liberazione del sindacalista comunista Giovanni Roveda, rinchiuso nel Carcere agli Scalzi, è invece compito di Beppe Muraro. Un possente muro di cemento armato, una lapide, una piccola finestra con le sbarre, un portone con le pietre squadrate e soprattutto due grandi iscrizioni che ricordano cos’era quel posto tra il 1943 e il 1945: Carceri Giudiziarie e Posto di guardia, rappresentate come la prigione di stato del regime di Salò, simbolo estremo del regime di polizia imposto dal fascismo repubblicano. Prigione sicurissima e inviolabile. Fino al 17 luglio 1944, all’audace assalto da parte di 6 giovani uomini della Resistenza che con un’azione durata pochi minuti riuscirono a liberare Roveda nella città più nazistizzata d’Italia dopo l’8 settembre.
Ad aprire gli interventi Mirco Carrattieri, storico e già direttore generale dell’Istituto Nazionale “Ferruccio Parri” di Milano. che con preziosissimi suggerimenti bibliografici ha illustrato com’è cambiata dal 1995 la sensibilità rispetto a specifici fattori della Resistenza. Oggi l’attenzione si concentra sull’uso della violenza per combattere il regime nazifascista, con un dibattito molto acceso sull’opportunità e legittimità della lotta armata.