Museo degli Innocenti a Firenze fino al 7 aprile 2024, è in corso la mostra Alphonse Mucha / La seduzione dell’Art Nouveau. Arista ceco, nato a Ivančice nel 1860. Mucha si dedica all’arte e, nel 1887, si trasferisce a Parigi dove incontra Sarah Bernhardt, l’attrice più bella e famosa dell’epoca, ritraendo la quale diventa popolarissimo. Nasce il mito delle “donne di Mucha” figlie della Belle Époque: fresche, leggiadre, eleganti silhouette avvolte in veli trasparenti, ornate di tralci e di boccioli, dei quali sembra di sentire il profumo. Queste donne, sempre in bilico tra sacro e profano, diventano un ideale di bellezza che entra presto a far parte dell’immaginario collettivo. La mostra è curata da Tomoko Sato e Francesca Villanti e con la Fondazione Mucha, l’esposizione raccoglie ben centosettanta opere suddivise in sei sezioni, con un allestimento che mette insieme musiche dell’epoca, luci soffuse e ambientazioni che a tratti sanno di boudoir. In mostra anche le locandine per gli spettacoli teatrali della “divina” Sarah Bernhardt e i manifesti per profumi, birra, biscotti, biciclette e sigarette. Grandiosa la campagna per il cioccolato Nestlé e quella per il prestigioso champagne Moet & Chandon. Mucha riesce sempre a trovare un motivo compositivo inedito, particolare, unico: uno svolazzo, un intreccio, una voluta di fumo, senza dimenticare l’onnipresente figura femminile. Moltissime le litografie in mostra, i manifesti, non molti purtroppo i disegni originali e un ampio omaggio a Galileo Chini che dell’epoca Liberty. Per entrambi, la missione era una sola: diffondere la bellezza, renderla accessibile a tutti gli strati sociali e annullare il pregiudizio tra arti “maggiori” e “minori”. Un intento che ambedue questi maestri hanno raggiunto con straordinari risultati. Trasmette un messaggio che sa affascinare, partendo dall’osservazione della natura e arrivando a quelle che lui stesso definirà “teorie su come incantare”. Artista eclettico, il suo linguaggio è influenzato dai Preraffaelliti, dalle xilografie giapponesi, dalla bellezza della natura, dalla decorazione bizantina e da quella slava soprattutto dopo il ritorno a Praga nel 1910. Qui morirà nel 1939 dopo aver lavorato per quasi venti anni al suo capolavoro, L’Epopea slava, opera colossale composta da venti enormi tele in cui racconta i principali avvenimenti della storia slava.