
La disfida di Barletta


V’invitiamo ad un viaggio nella storia della città di Barletta verso la mitica : “DISFIDA di BARLETTA”. Quell’evento accaduto a Barletta, nella Cantina della Disfida, più di 500 anni fa, veniva spesso presentato o letto come una fatale coincidenza di scontro tra Cavalieri italiani e francesi di passaggio dalla piccola cantina “Casa di veleno”. Dalla seconda metà del ‘500, i turchi minacciavano il Mediterraneo. Per far fronte a questi attacchi, a Granada, l’11 novembre 1500, Francia e Spagna firmano un Trattato segreto per dividersi il Regno di Napoli. Il patto fu firmato da Luigi XII (Francia) e Ferdinando II d’Aragona (Spagna).

Ma, dopo l’accordo tra Francia e Spagna, gli eserciti francesi e aragonesi cominciarono a contendersi spazi di territorio sempre più ampi, nel Regno di Napoli. Per primi, i francesi, conquistarono le più importanti città del Regno di Napoli, lasciando così gli spagnoli in Puglia e Calabria. Per questo, Barletta divenne “capitale” degli spagnoli nel Regno di Napoli.
Nei primi mesi del 1503, un folto gruppo di soldati francesi, di stanza a Canosa di Puglia (Bat) ebbe uno scontro con un gruppo di soldati spagnoli guidati dal nobile Diego de Mendoza che vinse lo scontro e catturò diversi soldati francesi poi accompagnati, sotto sorveglianza, a Barletta. Il 15 gennaio 1503, il Generale Consalvo da Cordova che arrivava già da una battaglia a Cerignola, propose un incontro tra cavalieri spagnoli ed italiani, facendo un “banchetto presso l’osteria “Casa di Veleno” di Barletta oggi denominata “Cantina della Disfida”, sede del comando iberico, guidato dal Gran Capitano Consalvo Fernandez de Cordoba. Al banchetto parteciparono anche alcuni cavalieri francesi, in precedenza imprigionati dagli Spagnoli. Il comandante dei francesi, Charles de Tongue detto La Motte che, un anno prima (1512), partecipava alla battaglia di Ravenna, espresse disprezzo per i nostri soldati italiani. Li accusava di essere vigliacchi perché sempre pronti a fuggire di fronte al primo pericolo che arrivava durante una battaglia, perciò di non essere persone di valore. Al tavolo del banchetto, il Generale spagnolo Lopez de Ayala ha difeso gli italiani, raccontando di essere già stato al comando di soldati italiani che avevano dimostrato di alto valore militare. La chiacchierata scivolò in un litigio dove fu sollevato il bisogno di rivendicare dignità e onore degli italiani con una sfida, avvenuta qualche giorno dopo. Prospero Colonna, capitano dei cavalieri italiani, invitò Giovanni Capoccio e Giovanni Brancaleone a convincere, il capitano francese La Motte, a ritirare la grave offesa fatta ai cavalieri italiani ma senza alcuna risposta. Il capitano “La Motte” lanciò allora la sfida! A tal punto intervennero i nobili fratelli Fabrizio e Prospero Colonna, figli di una tra le più autorevoli ed antiche famiglie italiane. I Colonna, ebbero contatti con uno tra i più forti e valorosi condottieri italiani: Ettore Fieramosca da Capua, che diede inizio ad un invio di carteggio a Guy de La Motte, per concordare tutti i dettagli dello scontro. Per questa sfida, Ettore Fieramosca ebbe contatti immediati con i migliori combattenti del tempo. Ecco chi erano i combattenti scelti: Francesco Salamone (Sutera/Sicilia); Marco Corollario (Napoli); Riccio da Parma (Parma); Guglielmo Albamonte (Palermo); Mariano Marcio Abignente (Sarno/Salerno); Giovanni Capoccio (Tagliacozzo/L’Aquila); Giovanni Brancaleone (Genazzano/Roma): Ludovico Abenavoli (Capua/Caserta); Ettore Giovenale (Roma); Fanfulla da Lodi (Basiasco/Lodi); Romanello da Forlì (Forlì) e Ettore de’ Pazzis ( Miale da Troia).
Sulla identità del famoso combattente “Miale da Troia”, dal 1903 si era scatenata una serie di incertezze fino al 1957. Proprio a me autore, nei primi anni ‘2000 capitò d’incontrare un militare dei Carabinieri nella città di Chianciano (Siena) che, appena saputo della mia città di origine (Barletta), ricordò lo storico evento della “Disfida di Barletta” perché secondo alcune fonti storiche, il Cavaliere Moele Tosi, originario della cittadina di Paliano (Frosinone), fu uno dei nostri Cavalieri partecipanti alla “Disfida di Barletta”.

Paliano (FR) La casa del Cav. Moele Tosi
Quindi, dopo quella serata in Osteria, i soldati francesi trascorsero alcune notti a Ruvo di Puglia, oggi provincia di Bari. Al mattino, prima dello scontro, parteciparono ad una Santa Messa nella chiesa di San Rocco, Santo Patrono dei prigionieri. Mentre, i cavalieri Italiani, la mattina del 13 febbraio, prima della battaglia, ascoltarono la Santa Messa a Barletta, in Cattedrale e giurarono di vincere o morire, davanti al quadro della Madonna della Sfida.
Intanto, come riportato da un anonimo “testimone oculare”, il Cavaliere Ettore Fieramosca, tenne un discorso ai nostri cavalieri, di cui ricordiamo uno stralcio…..
<…..Compagni e fratelli miei, se io pensassi che queste mie poche parole dovessero aggiungere più animo a che quel che dalla natura vi è concesso, certo mi ingannerei, avendo visto voi sino a qui allegramente essere condotti a questa magnanima impresa e dimostrato chiaramente quell’animo che un qualsivoglia coraggioso cavaliere mostrerebbe in simil caso. Onde io, conoscendo il valore vostro essere sì grande e fermo in questo nobile esercizio, per essere solo di voi stata fatta onorabile elezione, sono in tutto soddisfatto e contento. Ma perché i nemici in fino a qui non sono comparsi al campo, in questo spazio di tempo, che ne avanza, mi è parso manifestarsi il presagio dell’animo mio, il quale vi rende certi di indubitata vittoria in questa impresa, vedendovi sì ardenti e volenterosi a conquistare quell’onore che Dio e la benigna fortuna ne promette. Altri, nei tempi passati, hanno combattuto per naturale inimicizia, altri per iracondia, alcuni altri per ingiuria ricevuta, altri per cupidità di roba, tesori e beni di fortuna, altri per amore di donne e chi per un’occorrenza, chi per un’altra, secondo che l’occasione gli porgeva. Voi oggi combatterete per la gloria, che è il più prezioso e onorato pregio che dalla fortuna si potesse proporre a valenti uomini. Questa vi infiamma, questa vi accompagna all’immortalità, liberandovi in ogni caso da vil morte…>.
Questa battaglia, fra 13 cavalieri francesi e 13 cavalieri italiani, si tenne nel campo “Mattina di Sant’Elia”, una borgata fra Andria e Trani. Un territorio sotto dominazione veneziana, cioè “neutrale”. Le tecniche della battaglia, furono concordate nei dettagli. Si decise che i cavalieri vincitori avrebbero dovuto acquisire i cavalli e le armi dei cavalieri sconfitti. Ogni cavaliere sconfitto avrebbe pagato un riscatto di 100 ducati. Per valutare i risultati, furono nominati due giurati per ciascun gruppo di cavalieri e, per assicurare l’osservanza dell’accordo, fu assegnato un ostaggio per ciascun gruppo. Il campo su cui si svolgeva la battaglia, fu circoscritto con l’aratro.
Le due “squadre” erano disposte su due file contrapposte, così da scontrarsi in linea con le rispettive lance. I cavalieri italiani adottarono un esclusivo stratagemma di lotta: invece di caricare in avanti, arretrarono fino al limite dell’area di scontro, aprendo poi dei varchi nelle proprie file per fare uscire i cavalieri francesi dall’area di battaglia, prima di rischiare di morire. Ma qualcuno, come il Vescovo Paolo Giovio, presente a questo combattimento, ha rivelato che i cavalieri italiani rimasero fermi nelle proprie posizioni, in attesa della carica dei francesi ma con le lance reclinate. Nella prima fase, due dei nostri cavalieri rimasero disarcionati, ma rialzandosi riuscirono ad uccidere qualcuno dei cavalli francesi lasciando i cavalieri a piedi, mentre combattevano con lance, spade e scudi.

Cavaliere Ettore Fieramosca da Capua
Una battaglia durata più di un’ora ed alla fine tutti i cavalieri francesi sono stati sconfitti e catturati dagli italiani, che pertanto riportarono una netta vittoria. Unico combattente francese a rimanere in piedi fino a fine battaglie, fu Pierre de Chals di Savoia.
Secondo la tradizione il cavaliere italiano che combattè meglio e si distinse, dopo il capitano Ettore Fieramosca, fu Giovanni Capoccio, a cui fu attribuito l’appellativo di ”più forte campione italico dopo il Fieramosca”. Questa grande vittoria dei cavalieri italiani, fu un buon augurio per i cavalieri spagnoli che, in marzo, ripresero l’offensiva. Dopo la vittoria di questa battaglia, Re Ferdinando II°, conferì ad Ettore Fieramosca, il titolo di Conte di Miglionico, un feudo di Re Ferdinando II°. Lo stesso Re Ferdinando II°, confermò a Fieramosca, anche i feudi di Migliano Monte Lungo (Caserta); Rocca d’Evandro (Caserta); Camino (Alessandria) e Camigliano (Caserta). Quando però i francesi, nel 1805 occuparono l’area napoletana, distrussero il primo monumento eretto a Barletta per celebrare la vittoria degli italiani. Il monumento fu restaurato nel 1846. Una leggenda racconta che per aver amato la figlia del re, Ettore Fieramosca cadde in disgrazia e dovette cedere alcuni dei suoi feudi. Imprigionato dal re e poi andato in esilio, la sua morte sarebbe avvenuta, all’età di 39 anni (1515) nella città spagnola di Valladolid.
Ho svolto personalmente una indagine d’informazioni da amici residenti proprio a Valladolid, per sapere se realmente in quella città esiste una testimonianza del grande Ettore Fieramosca; purtroppo non vi è alcuna certezza.
La famosa Disfida di Barletta non finì con la battaglia. Ci ha lasciato anche un romanzo firmato nel 1830 dall’autore Massimo D’Azeglio. In poche righe vi suggerisco di sentire un certo profumo, leggendo uno stralcio dalle righe del romanzo che D’Azeglio dedicò a “La Disfida di Barletta”. <……Al cadere d’una bella giornata d’aprile dell’anno 1503 la campana di San Domenico in Barletta sonava gli ultimi tocchi dell’avemaria. Sulla piazza vicina in riva al mare, luogo di ritrovo degli abitanti tranquilli che, nelle terricciuole dei climi meridionali specialmente, sogliono sulla sera essere insieme a barattar parole al sereno per riposarsi dalle faccende del giorno, stavano col fine medesimo dispersi in vari gruppi molti soldati spagnuoli ed italiani, alcuni passeggiando, altri fermi, o seduti, od appoggiati alle barche tirate a secco, delle quali era ingombra la spiaggia; e, com’è costume delle soldatesche d’ogni età e d’ogni nazione, il loro contegno era tale che pareva dire: il mondo è nostro. Di fatto, lasciato loro il campo migliore, si tenevano i terrazzani in disparte, dando così a questa loro burbanza tacita approvazione. Chi per figurarsi questo quadro si volesse rappresentare una simile radunata de’ nostri soldati moderni nella loro misera uniforme, sarebbe lontano assai dall’averne una giusta immagine. L’esercito di Consalvo, le fanterie specialmente, quantunque le meglio in arnese, e le migliori di tutta cristianità, non conoscevano però, più di qualunque altra milizia del secolo XVI, la stretta disciplina moderna, che è giunta a render simile un soldato all’altro dalle scarpe al cappello > .
Il D’Azeglio, cominciò a scrivere questo romanzo ispirato all’evento della “Disfida di Barletta”, quando nel 1830, era a Torino impegnato a dipingere un quadro sullo storico scontro tra francesi e italiani. Inizialmente si trattava solo di una bozza di alcune pagine. Continuò, quando suo cugino Cesare Balbo lo incoraggiò a completare il romanzo. La stesura del romanzo, proseguì quando D’Azeglio arrivò a Milano, perché traendo spunto dalle varie organizzazioni indipendentiste di quel tempo, era convinto che queste non fossero preparate a mobilitare il popolo italiano contro l’Austria, ma incoraggiato e convinto che cultura e arte fossero risorse in grado di plasmare la coscienza nazionale italiana, grazie alla giusta rilevanza di tanti episodi scaturiti proprio da orgoglio nazionale, così com’è stata proprio la “Disfida di Barletta”. Durante la stesura del romanzo “La Disfida di Barletta”, D’Azeglio propose la lettura della bozza al suo amico Tommaso Grossi ed al suocero Alessandro Manzoni, dai quali ottenne un giudizio molto positivo che lo portò alla stampa presso la tipografia “ Ferrario” in Via San Pietro all’Orto (Milano). Il grande condottiero Ettore Fieramosca, quando era ormai deluso dagli spagnoli che, per anni, aveva fedelmente servito, passò dalla parte dell’esercito di Venezia, rimanendo sempre contro i francesi. Nove anni dopo la “Disfida di Barletta”, nel 1512, fu ferito durante la battaglia di Ravenna e nel 1512, si trasferì in Spagna dove, la leggenda racconta…chiuse i suoi giorni a Valladolid !!
Oggi, la città di Barletta risplende nel cuore della storia!
© Alfredo Gallerati