La svolta necessaria della politica.
È Fabio Garrisi, responsabile dell’ufficio co-progettazione del Consorzio “Sale della Terra” a dare lo scossone al tavolo di Roseto Capo Spulico. Lui la co-programmazione e la co-progettazione le vede dall’angolazione del “fare”, con la “religione attuativa” che connota il Terzo settore: “Uscire dal clima di paura è l’unica vera svolta della politica e i sindaci possono interpretare questo avamposto di democrazia dove la fiducia è la base dell’alleanza tra Ente, terzo settore e cittadinanza”.
A guardarlo a distanza di tre giorni, il 5 novembre è un punto fondativo, per Roseto Capo Spulico, per Rosanna Mazzia, per la sua Amministrazione e per tutti i rosetani che stanno seguendo il progetto di questa sindaca che vuole portare il suo borgo autentico fuori dalla politica dei “progettini a puntate fisse” in cui troppo spesso si fermano le piccole comunità.
Per la sua Roseto, la Mazzia ha un unico progetto, ambizioso e difficile, come solo le cose importanti sanno essere: trasformare un piccolo comune adagiato tra borgo medievale e mare bandiera blu in una comunità ad esclusione zero, in cui le diverse abilità di tutti i rosetani siano il capitale umano con il quale innestare futuro per chi c’è e per chi arriva.
Come? Presto detto: con quasi 18 milioni di euro rivenienti da diversi progetti vinti in tempi diversi e che adesso sono stati allineati in un’unica direzione: creare un concept unico in cui Ente locale, Terzo settore e cittadinanza attiva concorrono insieme a fare “un salto di qualità”, oltre che di “quantità”.
Roseto Capo Spulico, dunque, ha chiamato nel Granaio del suo lungomare le migliori intelligenze d’Italia per operare una progettazione partecipata che prevede patti di collaborazione con i cittadini, democrazia partecipata, amministrazione condivisa e una forte coesione sociale tra tutte le migliori intelligenze e abilità rosetane.
Nel Granaio erano, oltre alla sindaca Mazzia, anche Angelo Moretti, presidente del Consorzio “Sale della Terra” e Referente nazionale della Rete dei Piccoli Comuni del Welcome; Fabio Garrisi; Pasquale Bonasora, presidente di Labsus – Laboratorio per la sussidiarietà; Luciano Gallo, referente contratti pubblici e innovazione sociale, diritto del Terzo settore di Anci Emilia-Romagna; mons. Francesco Savino, vescovo di Cassano allo Jonio. La moderazione, affidata a Gabriella Debora Giorgione, giornalista e direttore di comunicazione della Rete dei Piccoli Comuni del Welcome.
Ha presentato il lavoro su Roseto Capo Spulico, Angelo Moretti, che sull’esclusione zero nelle comunità lavora e progetta da una vita e che su questo ha scritto anche una monografia dal titolo Welfare meridiano, oggetto più volte di citazione tra gli interventi al tavolo.
Pasquale Bonasora e Labsus in Italia “sono” l’Amministrazione condivisa e i patti di collaborazione: ci lavorano da oltre dieci anni, hanno stimolato e seguito l’adozione dei relativi regolamenti circa 300 enti perché l’amministrazione condivisa – si scrive anche nel Manifesto Labsus (leggilo qui su VITA, clicca) – produce innovazione sociale, politica e amministrativa.
Luciano Gallo, in dieci punti e con sintesi efficace e divulgativa, spiega i diversi livelli di governo dell’amministrazione condivisa e come si destreggia con il nuovo codice dei contratti pubblici. E poi, il ruolo del Terzo settore in relazione a quelli che molti paventano come “i nodi” della co-progettazione: rendicontazione, valutazione, impatto sociale.
Mons. Francesco Savino chiude l’incontro con la parola della dottrina sociale della Chiesa e con il pensiero di Dossetti e La Pira, ma si allunga a richiamare il Terzo settore ad una linea identitaria più coraggiosa, ad una presenza “politica” più consapevole. E a quelli che egli chiama “i Sud” – perché per lui non esiste un solo Sud – chiede “di non stare zitti e di recuperare un protagonismo sociale che significa emancipazione e democrazia”. A tutti, chiede di non confondere il Terzo settore con quello che egli chiama “il quarto” settore: la differenza, sottolinea il Vescovo, sta nel fatto che il Terzo settore produce economia, ma redistribuisce gli utili “nel giusto”, cioè investendo in altre azioni nel sociale. Il “quarto settore”, invece, per lui è il volontariato puro. Sdoganando, dunque, e definitivamente, il Terzo settore dalla “sala d’attesa” politica in cui è tenuto fermo da anni: l’idea, cioè, che l’impresa sociale sia solo sociale e mai debba essere impresa.
Alla fine delle due giornate si profila una considerazione. Roseto Capo Spulico è un “modello”. Anzi, meglio, un “metodo politico”. Da oggi, in Italia, si dovrà partire dalle “giornate di Roseto Capo Spulico” ogni volta che si vorrà parlare di democrazia partecipata, sviluppo e innovazione sociale, rigenerazione sociale e territoriale.