Roberta Capponcelli ha ufficialmente presentato la propria biografia Non lasciare la mia mano (pp 158, Independently published Amazon, € 10,40 la versione cartacea e € 4,99 quella eBook).
Lo ha fatto nella cornice del teatro dell’oratorio della Parrocchia San Giovanni Bosco a Bologna, nell’ambito della rassegna culturale Scrivi che ti passa…, venerdì 9 febbraio scorso alle ore 21,00; con contestuale diretta sulla sua pagina Facebook.
L’evento è stato arricchito dalla presenza della Dottoressa Laura Negrelli, psichiatra presso il Centro di salute mentale di Casalecchio di Reno (Bo).
Non lasciare la mia mano non è soltanto il titolo del libro: è anche – e soprattutto – la supplica che Roberta ha silenziosamente rivolto a chi le sta vicino. Come lei stessa ha raccontato, il testo è nato come puro e semplice diario per fissare, nero su bianco, le sensazioni provate nei giorni più bui di un tunnel chiamato “disturbo bipolare” e diagnosticato dopo anni e anni di depressione, riportate dalla sua diretta voce nel breve podcast.
Ha poi deciso di pubblicare queste pagine su suggerimento di Piero, il suo compagno di vita fin dall’adolescenza: per sensibilizzare quante più persone possibili sul disturbo, spesso sottovalutato e, conseguentemente, non adeguatamente trattato; ma anche per non far sentire sole le persone che convivono con chi vi è affetto.
L’autrice ha ripercorso la propria infanzia e adolescenza, entrambe segnate da perdite dolorose. Prendendo come esempio la sua vita, la Dottoressa Negrelli ha spiegato – con semplicità ed estrema competenza – l’incidenza che il vissuto ha sullo sviluppo e sulla gravità della patologia; ma anche quali sono i segnali che devono mettere in allarme sul disturbo bipolare e la probabilità o meno che questi ultimi tendano a replicarsi in ogni soggetto malato.
La Capponcelli ha quindi letto qualche brano del libro, fra i quali quello in cui spiega apertamente cosa ha rappresentato – e cosa ancora rappresenta – nella sua personale esperienza questa malattia mentale, esordita con repentini e ciclici cambi dell’umore.
La psichiatra ha poi spiegato in cosa consiste la patologia e da come essa si differenzia dalla depressione vera e propria; come il diretto interessato possa “cavalcare” l’onda del doloroso alternarsi fra crisi depressive e successive inaspettate sensazioni maniacali euforiche, non meno pericolose delle prime. In tali momenti, infatti, il soggetto perde la misura di se stesso nella sua quotidianità e può compiere inconsapevolmente azioni molto pericolose, per sé e per gli altri: guidare a velocità elevatissima senza avvertire il senso del pericolo, spendere un intero stipendio in cose futili senza comprenderne la gravità sono soltanto alcuni esempi.
Decisiva è sempre l’accettazione della necessità di farsi aiutare professionalmente da un esperto, psicoterapeuta o psichiatra a seconda della gravità. Nella vita dell’autrice un peso fondamentale lo ha avuto anche la nascita di ciascuno dei 3 figli che, nonostante tutto, lei e il marito stanno crescendo nel migliore dei modi.
La Capponcelli non ha poi mancato di raccontare la propria esperienza di vita – reiterata per 6 volte finora – all’interno di una clinica psichiatrica. Il pubblico ha così preso parte alla sua giornata tipo in quei periodi, alle sue aspettative a seguito del ricovero e al suo rapporto – passato e presente – con gli psicofarmaci.
L’emozione – già ben presente in sala – ha raggiunto il picco nel momento in cui l’autrice ha parlato della figura che, più di ogni altra, ha inciso positivamente nella propria vita: il marito Piero, con cui ha condiviso praticamente tutta la sua vita finora. Un compagno delle gioie condivise – soprattutto per la nascita dei loro 3 figli – ma soprattutto dei dolori che hanno segnato l’esistenza di entrambi; seppur per ragioni differenti. La sua presenza, discreta ma determinante, nella vita di Roberta le ha permesso di superare le crisi più profonde; nei giorni in cui l’apatia verso la vita aveva preso il sopravvento su qualunque altro sentimento.
Applausi ancora più partecipati sono arrivati quando la Capponcelli ha parlato della “nuova Robby”, come più volte citato nel libro: la donna consapevole che è diventata; la donna coraggiosa che ha accettato la dolorosa convivenza con una malattia mentale che, fra alti e bassi, l’accompagnerà per il resto dei propri giorni; e di cui ha deciso di parlare pubblicamente per aiutare chi può avere bisogno di non sentirsi solo nell’affrontarla.