Una legge del 1983 vieta ancora ai figli adottati di conoscere l’identità dei genitori naturali, se non dopo aver compiuto 100 anni. Detta così sembra una barzelletta, ma l’Italia dovrebbe sistemare la sua legislazione sul tema, almeno dal 2012, in seguito ad una sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.
Non conoscendo prima la questione, il film sin dall’inizio sembra seguire una trama surreale. Per il cast di “Il più bel secolo della mia vita” sono stati scelti 3 attori principali di tre diverse generazioni, come il giovane Valerio Lundini, Carla Signoris per la “mezza età”, uno “stagionato” Sergio Castellitto spettacolare centenne Gustavo.
Si ride di gusto, in molti passaggi. E ci si commuove perché il tema comunque è lancinante. Non essendo un critico cinematografico mi sento di fare un solo appunto: per chi vive fuori dal Raccordo (nel mio caso lungo la Claudia Augusta), molti passaggi sono ostici per la comprensione.
Lundini (Giovanni) lavora per una associazione di figli adottati che hanno l’obiettivo di trovare i genitori naturali. Si fa 569 km per andare in un ospizio gestito da suore a prendere Gustavo. Lo scopo è poi andare a Roma e attraverso il suo esempio di vita convincere il Ministro dell’interno a cambiare la norma. Gianna è la madre adottiva di Giovanni.
Il climax comico passa attraverso molti passaggi di viaggio, nei quali Gustavo ne fa di tutti i colori. Rifiuta la minestrina, dimentica le pillole, fa pipì con difficoltà in un filare di viti. Giovanni viene messo all’angolo spesso da “ricatti” dell’anziano. Gustavo durante una pausa del viaggio si mette al volante e sfonda le vetrate del bar dove Giovanni sta prendendo dell’acqua minerale.
Interviene Gianna e i 3 riescono ad arrivare a Roma. Gustavo in smoking siede vicino alla ministra. Gli interesserà conoscere il nome della sua mamma? Ma soprattutto il Parlamento italiano quando modificherà questa norma?