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Franco Branciaroli, dominatore della scena teatrale italiana fin dagli esordi da giovanissimo negli Anni Settanta, è giunto al Teatro Sociale di Rovigo lo scorso 19 febbraio con un celebre classico goldoniano “Sior Todero Brontolon“, a distanza di sette anni dal precedente approdo nel capoluogo polesano quando nel 2018, sempre a febbraio, indossò i panni della Medea di Euripide nello spettacolo che nel 1996 era stato diretto da Luca Ronconi. In primo piano rimane un poderoso talento indossato con naturalezza, forse a tratti un pò asprigna, ed intriso di “recitina”, secondo un’affermazione scherzosa elargita da Branciaroli, sostanza che il corpo dell’attore secerne per divenire il fuoco alchemico di un proscenio che continua ad inventare il suo sogno. Il “Sior Todero Brontolon” è siglato dalla regia di Paolo Valerio per una produzione del Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia, Teatro de gli Incamminati, Centro Teatrale Bresciano.
“Non parlerei di innovazione per quest’ultimo lavoro – precisa subito Branciaroli – poichè ad essere rappresentato è un testo in lingua dialettale che ha le sue forme obbligate, le sue intonazioni fisse. Abbiamo cercato di distanziarci dallo stereotipo del nonno burbero ma bonario legato, soprattutto, all’interpretazione di Cesco Baseggio, l’attore che in questo filone teatrale ha incarnato la tradizione e che quando ero allievo della scuola di teatro ci portavano a vedere. Non è detto che il Sior Todero sia poi così bonario, è un accentratore che urla “io sono il padrone”, un personaggio vessatorio verso i familiari, la servitù e che pretende di tenere in scacco i destini altrui grazie al possesso del denaro. Sappiamo che nello spettacolo si ride, che è divertente ma è un quadro di quell’epoca, del Settecento che ci racconta quel mondo, non il nostro. Oggi un nonno così non sarebbe concepibile tanto quanto non sarebbe concepibile una Mirandolina come quella goldoniana alla quale nessuna locandiera oggi potrebbe somigliare”.
Per innovare servono le idee
“Se si vuole davvero rinnovare il teatro serve un drammaturgo, una penna, delle idee, non basta rivisitare un testo già scritto – puntualizza Branciaroli – ma il Teatro è una cosa nobile che bisogna saper fare. E’ giusto che un adolescente oggi veda uno spettacolo di Goldoni ma deve trattarsi di una rappresentazione ben costruita. Oggi s’impoveriscono le scenografie, diminuisce il numero degli attori in scena, aumentano i microfoni ed i video e la cosa più dolorosa, a mio parere, è l’applauso del pubblico ad uno spettacolo brutto. Questo in Italia vale, in particolare, per il teatro di prosa, non altrettanto per la Lirica. Un’opera lirica brutta non la fa franca, il pubblico non ci sta, non applaude e questo è sintomo di vitalità, di un coinvolgimento vero degli spettatori”.
La favola del “Mostro Sacro”
A Branciaroli non piace l’aggettivo “grande” che considera premesso genericamente a troppe cose, come ad esempio, se viene utilizzato per designare un “grande” attore. “I “mostri sacri” non ci sono mai stati – aggiunge – perchè la bravura di un attore è legata ad un breve periodo di tempo. Se vedessimo oggi Eleonora Duse (è solo un esempio) rideremmo e ogni stile, sensibilità interpretativa, sono legati al gusto circoscritto dell’epoca di riferimento. Io stesso rivedo le mie interpretazioni giovanili come appartenenti a quegli anni trascorsi. Un attore di teatro deve avere degli strumenti, voce, palato, denti, lingua, dizione, bellezza o bruttezza e può giocarsi queste risorse ma gli stati di grazia autentici della recitazione si potranno contare sulle dita di una mano in intere carriere”.
Affermazioni che restituiscono un profilo un pò inaspettato ma interessante per un artista iconico del panorama teatrale italiano e che miscelano, dietro il sipario, insieme al forte disincanto un incantesimo che non si arrende. La probabile sintesi è un viscerale amore per il teatro, riguardo al quale ci si potrebbe chiedere quale possa essere la sua prospettiva futura che, forse, è un’eterna proiezione che aggancia un non tempo, quindi tutti i tempi, nella ricerca di direzioni della commedia umana per trascendere se stessa, nella comicità e nel pianto, nelle idealità, bellezza, fedi, persino nell’inganno. In una intervista abbastanza recente a “Famiglia Cristiana” Branciaroli, che si è dichiarato credente, ha citato lo scrittore Alberto Savinio, fratello di De Chirico, secondo cui “senza Dio si finisce per ascoltare solo le chiacchiere dei vicini di appartamento. Il teatro deve far sentire questa voce».