Dopo il tutto esaurito nelle sale cinematografiche di Verona il film indipendente “Squali” del regista veneto Alberto Rizzi approda nei cinema di provincia. Film duro e ostico per lo spettatore che viene messo in allerta dallo stesso Rizzi che lo descrive come “liberamente ispirato ai Fratelli Karamazov di Dostoevskij”, in particolare per il tema dell’ossessione per il denaro. E da questa ossessione la decisione di scegliere il Veneto, il nord-est ritenuto da molti il “Texas d’Italia”, come luogo dove girare il film, precisamente sui Monti Lessini dove nemmeno gli animali eccetto una pecora popolano la natura che assiste indifferente alle vicende umane.
Sullo schermo si susseguono immagini di colline e boschi dove vivono, in qualche caso sopravvivono i componenti della famiglia Caruso: il padre/padrone Leone ormai malato di asma ma non rassegnato a mollare i suoi quattro figli, imprigionandoli nella disperata prospettiva di ottenere dei soldi. Primo elemento di novità rispetto alla famiglia Karamazov l’aver inserito la figura di una donna, la figlia. In un contesto dominato apparentemente da logiche di potere e prepotenza al maschile l’elemento femminile è motore di cambiamento di prospettiva e di regia.
Se infatti la circolarità sempre uguale a se stessa nella logica del possesso viene splendidamente suggellata durante una delle cerimonie religiose di paese attraverso un movimento della macchina da presa che partendo dal patriarca arriva al figlio Demetrio per ritornare su di lui, segno chiaro e ineludibile della natura sostanzialmente uguale dei due componenti familiari, quando vengono inquadrate figure femminili la macchina da presa segue altre linee fino alla verticale finale.
L’animalità nel senso peggiore della parola laddove non ci sono animali viene offerta allo spettatore attraverso tutti i mezzi cinematografici, dai suoni alle immagini ai vuoti. L’assenza di campo che rende quasi inutili i cellulari ne potenzia il senso. Anche la nudità dei personaggi è strumentale alla rappresentazione della natura primitiva poco civilizzata dei Caruso. Il loro è un mondo popolato da prepotenza e superstizioni che convivono con la fede, anch’esse destinate a scontrarsi e sgretolarsi di fronte alla realtà innegabile della morte. Una comunità chiusa dove uomini incompleti si appoggiano a donne apparentemente compiacenti ma pronte a cogliere un’occasione di cambiamento. A rendere più vivida la rappresentazione delle vicende anche la scelta di attori veneti con le loro cadenze locali anche se al solo Leone (interpretato da Mirko Artuso) viene concesso di tanto in tanto l’uso del dialetto. Completano il cast nei ruoli principali Diego Facciotti, Stefano Scherini e Chiara Mascalzoni .