Brasile, 1971. Rubens Paiva, ex deputato laburista, vive con la moglie Eunice e i cinque figli a Rio de Janeiro. Il colpo di stato del 1964 lo ha espulso dalla scena politica e ha instaurato una dittatura militare che spaventa Eunice e le fa temere per l’incolumità della figlia maggiore Veronica, simpatizzante dei movimenti studenteschi antigovernativi. Ad essere portato via da casa, un giorno in fretta e furia, da un manipolo di sconosciuti armati, è invece Rubens. Non farà mai più ritorno. E’ stato nominato per un Golden Globe come Miglior Film Straniero come rappresentante del Brasile e per la Miglior interpretazione femminile a Fernanda Torres.
“Io sono ancora qui” – dal 30 gennaio al cinema – segna il grande ritorno sul grande schermo di Walter Salles. Dopo un lungo silenzio di dodici anni dal suo ultimo film, il regista brasiliano noro per “Central do Brasil” e “I diari della motocicletta” torna alla regia con una pellicola che racconta una storia struggente e potente, ispirata a eventi reali. Siamo agli inizi degli anni settanta in un Paese nella morsa sempre più stretta di una dittatura militare. Quando la vita della sua famiglia viene distrutta da un arbitrario atto di violenza, una madre è costretta a reinventarsi.
Presentato in anteprima mondiale in concorso all’81 esima Mostra del Cinema di Venezia, il film non scivola mai nel melodramma, ma si mantiene in un territorio di forte realismo e intensità emotiva. «Quando ho letto il memoir Sono ancora qui di Marcelo Rubens Paiva, sono rimasto profondamente commosso – ha raccontato il regista -. Per la prima volta, la storia dei desaparecidos, delle persone strappate dalle loro vite per mano della dittatura brasiliana, era raccontata dalla prospettiva di coloro che restano privati di una persona cara. Nell’esperienza di una donna – Eunice Paiva, madre di cinque figli – c’era al tempo stesso la testimonianza di come sopravvivere a una perdita e l’immagine speculare di una ferita inflitta a un’intera nazione. Era anche una storia personale: conoscevo quella famiglia ed ero amico dei figli Paiva. La loro casa resta indelebilmente impressa nella mia memoria. Nei sette anni che abbiamo impiegato per realizzare Io sono ancora qui, la vita in Brasile ha compiuto una virata avvicinandosi pericolosamente a quel passato. E questo fatto ha reso più che mai urgente il racconto di quella storia».