Da metà settembre, stiamo vedendo “Brennero”, la serie tv di Rai 1 con la regia di Davide Marengo e Giuseppe Bonito. La fiction con Elena Radonicich e Matteo Martari ha sorpreso il pubblico e la critica per essere asciutta, diretta ed esempio dalle serie t di genere del Nord Europa per proporre un racconto ambientato a Bolzano che parla di dualismo e identità. Nel cast troviamo anche Richard Sammel nei panni di Gerhard Kofler, ex procuratore capo di Bolzano: nella sua carriera vi è solo una macchia, quella del serial killer che non è riuscito a catturare. Padre di Eva, non ha fiducia nelle capacità della figlia. E, anzi, è convinto di doverla aiutare. Si tratta di un attore tedesco molto bravo e intenso che ha recitato ne “La vita è bella”, “Casino Royale” e nella serie tv di Guillermo del Toro “The Strain”.
Richard. Per quali motivi hai detto sì a “Brennero”?
La qualità della sceneggiatura era ottima, esattamente come il mio personaggio. Normalmente dico sì a ogni sfida, a tutto ciò che mi porta a crescere. Ho lavorato molto come interprete e ora ho l’enorme privilegio di poter decidere cosa fare nella mia vita. Gli ingredienti di questa serie erano incredibili perché i problemi personali di ogni personaggio andavano a intrecciarsi con quelli professionali.
Nella fiction, sei Gerhard Kofler. Come lo descriveresti?
E’ un uomo molto conservatore e autoritario, ma anche fortemente umano, con i suoi dolori e le sue gioie. E’ cresciuto con un’educazione molto classica dai valori importanti, dalla famiglia all’andare in chiesa, dall’amore alla dedizione per il proprio lavoro, dal non arrendersi mai a continuare a lottare per quello in cui crede. La società di oggi sta via via perdendo tutto questo. E’ stato procuratore con consapevolezza ed è orgoglioso di trasmettere tutto alla figlia. Ha per una grande debolezza, non vuole accettare la sua malattia.
Per lui, il suo lavoro e la sua famiglia cosa rappresentano?
Tutto, la sua vita vi ruota intorno. La famiglia è la base, non si può pensare a Gerhard Kofler senza quella, è colui che ha ricevuto e impartito educazione. Il lavoro è fondamentale e ritiene che il suo sia utile per la società, come una padre per la famiglia.
Viene anche a conoscere sulla sua pelle la malattia della dimenticanza, ovvero l’Alzheimer. Il non riconoscere e il non ricordare come vengono vissuti da lui?
All’inizio, non ci fa caso; i sintomi sono pochi e non li prende in considerazione. Quando questi si fanno più evidenti, si aggrappa all’idea che magari presto svaniranno ma purtroppo non sarà così. Capisce ben presto che tutto cambierà, lo vede nella sguardo di sua figlia. Farà di tutto per nasconderlo agli altri e a se stesso.
In questa serie tv, emerge il dualismo tra la cultura tedesca e quella italiana. Cosa hanno in comune secondo te?
Basta andare in Trentino. Siamo noi esseri umani a vedere questa divisione che di fatto è solo politica, frutto del nostro modo di pensare. Non dovrebbe e non è così. Siamo tutti uomini e ognuno di noi può scegliere chi essere e dove vivere. L’identità culturale dovrebbe essere sinonimo di unione e fierezza, non certamente di divisione.
Sei un noto attore tedesco ma per te cosa vuol dire recitare?
La formula per dare un senso al nostro essere qui è raccontare storie, oltre all’amore e al cibo che ci permette di essere vivi. Il raccontare è il mezzo più importante, è uno scambio generoso tra le persone per far sì che si arricchiscano.
Com’è nata questa passione?
Al liceo, ho cominciato a seguire corsi di teatro per piccoli ruoli. Ho provato un senso di gioia e appagamento completo che mi hanno portato a fare il musicista ma non mi bastava, il recitare è stata una folgorazione.
Hai recitato molto anche all’estero, dell’Italia cosa porti sempre con te?
Le devo molto; qui ho fatto i miei primi film e ho conosciuto la madre dei miei figli. Venivo da dieci anni di teatro, poi sono stato rapito dal cinema che non mi ha mai lasciato. E’ simbolo di maturità.
Piccolo e grande schermo, ma anche tanto teatro. Cosa preferisci?
Se faccio troppo una cosa, mi manca l’altra. Sono complementari l’uno con l’altro perché uno va ad aiutare l’altro nelle sbavature.
Hai recitato con i più grandi, chi tra tutti ti ha lasciato qualcosa che non dimenticherai mai?
Pierfrancesco Favino. Abbiamo fatto insieme “Le confessioni” con Tony Servillo di Roberto Andò, per poi incontrarlo in diverse occasioni. Mi ha sempre colpito la sua professionalità, umanità, discrezionalità nella sua scalata verso la popolarità.
Nuovi progetti?
A ottobre, uscirà la serie tv “A better place” e lo spettacolo teatrale recitato in più lingue “La morte felice”. A inizio anno uscirà un progetto Disney.