La piccola Bo, figlia della giovane coppia formata da Junyang e Peiying, scompare da un parco di Singapore, dove la famiglia risiede. A nulla valgono i primi tentativi di indagine sul rapimento della polizia, e i genitori rimangono in un limbo per settimane. Un giorno però ricevono a casa il primo di una serie di misteriosi dvd con dei nuovi filmati che ritraggono i due. Uno stalker li sorveglia, e per giunta le sue immagini rischiano di compromettere il rapporto della coppia portando alla luce i segreti di ciascuno. “Stranger Eyes” – dal 14 novembre al cinema – è un thriller scritto e diretto dal regista singaporiano Siew Hua Yeo, al suo quarto lungometraggio. Con la sua opera precedente – A Land Imagined – Siew Hua Yeo aveva partecipato al Festival di Locarno 2018: con Stranger Eyes invece entra in concorso al Festival di Venezia 2024 (è la prima volta che un film singaporiano concorre per il Leone d’oro). L’opera è anche il film d’apertura del Taipei Golden Horse Film Festival 2024. «Al parco una volta ho visto un uomo. Era anziano, dall’aspetto ordinario. Mentre lo fissavo, ho iniziato a crearci attorno una storia. Ho capito più tardi che stavo proiettando su quest’uomo anziano le mie aspirazioni, arrivando a considerare che poteva essere un riflesso di me stesso. Ero incuriosito dall’emozione di dare segretamente forma a questa storia, quando ho notato le telecamere di sorveglianza tutto intorno a me. Ero stato osservato tutto il tempo. C’è sempre qualcuno che guarda. Dopo la pandemia il dibattito sulla sorveglianza si è silenziosamente spostato dalle preoccupazioni sulle libertà individuali alle discussioni sulle responsabilità sociali. Cosa significa esistere come mera immagine da percepire? Vediamo le persone come qualcosa di più di semplici modelli o tipi, riconoscendone la piena umanità con capacità d’azione, storie personali e fantasie? Mi chiedo a volte se, di fronte a quella delle macchine, io non abbia nostalgia della sorveglianza umana – ha dichiarato il regista -. In un piccolo stato insulare come Singapore, dove non c’è via d’uscita dalla rete di sorveglianza, osservare ed essere osservati diventa un rituale quotidiano. Con un’elevata densità di popolazione e una sorveglianza pervasiva, il moderno paesaggio urbano ci trasforma in testimoni involontari delle vite degli altri, con tutte le conseguenze del caso. Ancora più affascinante è chiedersi in che modo osservare gli altri rifletta le nostre azioni e le percezioni di noi stessi. Dopotutto non possiamo cancellare ciò che abbiamo visto. “Stranger Eyes” riflette su queste domande e sull’interazione tra vedere e essere visti. In un’epoca in cui il nostro senso di connessione attraverso il consumo visivo sembra al contempo illimitato e alienante, la consapevolezza di essere costantemente osservati, sia attraverso i social media sia come necessità etica di sicurezza, plasma le nostre identità come attraverso uno specchio, confusamente. In ultima analisi l’atto del vedere non è passivo, ma riflessivo e trasformativo: un pericoloso gioco di simulazione che potrebbe portare al collasso dell’idea di un’identità stabile».